23 maggio 2011

LA VOLPE DI SANTA CATERINA



Era stata una giornata calda, troppo calda per la stagione, avevo cercato per tutta la mattinata di riuscire a prendere una gallinella nel pollaio della casa qui vicino, nel posto che gli umani chiamano S. Caterina, ma i cani da guardia erano più aggressivi e inquieti del solito, e anch’io ero più distratta, cosa che non mi accade mai. I miei tre piccoli invece dormicchiavano nella tana sopra il piano, dormicchiavano e giocavano, come hanno sempre fatto da quando sono nati, una luna fa.
Finalmente il sole è calato, il caldo si è attenuato, ma non c’è nemmeno un filo di vento, anche l’acqua della solita sorgente in cui bevo non è mai stata poca come oggi. 
La sera non ha portato la solita calma, non capisco cosa sia questa inquietudine che sento, mi sporgo fuori dalla tana, annuso l’aria e non capisco. Il bosco è sempre lo stesso, lo conosco bene, ci sono nata, eppure stasera è quasi pauroso, come se le ombre fossero più lunghe e nere del solito. Non sento odore di umani o di altri animali nelle vicinanze, eppure sono guardinga, giro attorno, cosa c’è che non va? Forse è il latrare dei cani che va e viene, alternato da lunghe pause, che proviene dal piano e da più giù ancora, dal posto pieno di umani che a volte osservo dall’alto e che chiamano Venzone. 
Forse è il silenzio del bosco, perché non sento passare qualche capriolo? Eppure a quest’ora ne ho sempre visti... e gli uccelli notturni? Perché non odo i loro richiami? Nemmeno il gufo si sente...
Ho allattato i piccoli, che adesso dormono di nuovo, io invece non riesco a riposare, sono sempre più agitata, cosa mi succede? Cosa succede?
Una vibrazione, la tana ha un sussulto, i piccoli si svegliano. E’ durata pochissimo, ma a questo punto non ce la faccio più ed esco con tutti e tre nel bosco. Forse è una pazzia, è buio e io sono nel bosco, praticamente allo scoperto, se arrivasse qualche predatore non riuscirei a difendere i piccoli, che adesso mugolano assonnati. Tutto tace, silenzio assoluto.
Poi sento, più che con le orecchie, con il corpo, con il torace, un rombo basso che sale, sale da non so dove, forse da un qualche “dentro”. Poco fa lo percepivo appena, ma adesso lo odo distintamente, e fa paura. I piccoli mi guardano perplessi. Mentre cerco di tranquillizzarli con una leccata, sento una folata di vento caldo e al rombo si sovrappone il rumore delle foglie che si muovono. 
Improvvisamente il terrore. Il terreno balza in alto ed io pure, poi in basso, poi ancora di lato, non si ferma. Gli alberi sono scossi dalle radici così violentemente che ho paura ci cadano addosso. Grossi massi rotolano schiantando il bosco al loro passaggio. Come impazziti io e i piccoli corriamo verso il basso, ma è difficile: tutto si muove, inciampiamo, ansimiamo, tutto cade, rotola, si spezza, e il rombo è diventato assordante. Loro restano indietro, li aspetto, non riesco io a stare ferma sulle quattro zampe, figurarsi loro. 
Guardo verso il monte: lampi rossi lo illuminano, ma non è un temporale. Tutto trema ancora, perché non finisce? 
Non so come raggiungiamo il piano, finalmente si è fermato. 
Di sassi però ne scendono ancora molti, attraversiamo veloci il prato per toglierci dal pericolo, faccio in tempo a notare che la chiesa non c’è più. Ci ritroviamo tutti e quattro sul bordo del piano, dove ogni tanto mi fermavo a guardare il fiume, laggiù. 
Ora è tornato quel grande silenzio, siamo graffiati e atterriti, ma siamo insieme. 
Guardo verso il basso: non ci sono più le solite luci che vedevo nel luogo chiamato Venzone.
Al suo posto il quarto di luna crescente illumina un gran polverone... 

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