23 maggio 2011

EDITORIALE



Come testimonia la storia del secolo scorso, ogni generazione è stata iniziata a ricorrenti esperienze drammatiche da cui trarre presagi infausti e, nello stesso tempo, volontà di sopravvivere.
Che si sia trattato di catastrofi naturali o eventi scellerati determinati dall’umana pazzia, la vita del dopo è stata segnata da una traccia profonda. Da ferite e da ostinati sentimenti di riscatto.
Nei racconti di mia madre, classe 1908, i ricordi di Caporetto e della “profuganza” ritornavano sempre con i connotati dell’angoscia e insieme della speranza, inspirata questa dalla tenace ricerca che il padre, “Nosent” per chi ne ha memoria, aveva messo in atto ricomponendo la famiglia dispersa in frammenti individuali lungo la penisola.
La mia generazione (1935) ha vissuto, con lutti in ogni casa, la seconda guerra mondiale avvertendo poi, negli anni della formazione, la fiducia che nasceva da quella svolta della storia italiana che ha nome “Costituzione e Repubblica”. 
La generazione delle mie figlie, che con i coetanei venzonesi hanno condiviso la vita in tenda, ha sperimentato il Terremoto del 1976 e quel fervido decennio che contraddistingue la ricostruzione. 
In qualche modo possiamo definirla più fortunata perché almeno non ha da rimproverare alla volontà degli uomini le ricorrenti disgrazie! 
Oggi, all’approssimarsi del 6 maggio, ricordando le esperienze accumulate direttamente o ereditate dalla vita sofferta di chi ci ha preceduto, ci sentiamo di proporre alcune serene considerazioni che non devono avere il clamore dei proclami, ma costituire caldo suggerimento nella usuale pratica quotidiana.


Cerchiamo ogni giorno di non essere sopraffatti dagli eventi o dalle determinazioni prese contro la nostra volontà o senza il nostro consenso. Costringiamoci a partecipare attivamente alla responsabilità delle decisioni che ci riguardano. 
Mettiamo in atto quella faticosa e co stante opera di controllo e di presenza che, fra l’altro, in oltre sessanta anni di vita repubblicana, grazie ai fondamenti ideali della nostra società civile, ha cancellato dall’esperienza individuale l’incubo della guerra.
Ricordiamo come la partecipazione e la volontà dei cittadini siano valse ad ottenere la ricostruzione che oggi onora il Friuli ed in particolar modo Venzone. Quale sarebbero stati, infatti, forma e destino della nostra comunità attuale se nell’opera di rinascita avessero prevalso l’ignoranza delle prerogative locali, la negazione del patrimonio artistico e storico, il disprezzo per l’identità culturale?
Riconosciamo, infine, per cancellare ogni interpretazione egoistica e come auspicio per altre popolazioni, recentemente colpite da eventi naturali, che la nostra esperienza positiva se ha per madre la ferma determinazione della realtà locale ha anche un padre nel solidale impegno di tutti gli italiani. 
                                                       Loris Sormani

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