“Il San Simiòn no l’à tradît la sò int”, si leggeva fino a una decina di anni fa su una pietra del sentiero che sale al M. San Simeone da Interneppo. L’anonimo estensore voleva così “riappacificarsi” con un monte che, con i suoi prati, pascoli e boschi, è stato sempre una risorsa per i paesi situati alle sue pendici, ma che dopo il 6 maggio 1976 era avvolto da una fama infausta, in quanto da tutti identificato come l’epicentro del sisma.
Tale scritta si è tuttavia rivelata veritiera poiché, da una più completa e accurata analisi dei dati sismici effettuata negli anni ‘90, si è trovato che l’ipocentro della scossa distruttiva delle ore 21.00 non si trovava al di sotto del M. San Simeone, ma una decina di chilometri più a sud-est, appena in comune di Lusevera, non lontano da Pradielis.
Tra il M. San Simeone e il M. Brancot, nei pressi di Bordano, era localizzato invece l’epicentro del sisma delle 11.21 del 15 settembre 1976, quello che a Venzone ha fatto crollare ciò che restava del Duomo e il suo campanile.
Infatti, anche se chi ha vissuto quel periodo se lo ricorda bene, i più giovani forse non sanno che dopo il terremoto del 6 maggio ci sono state nel settembre dello stesso anno altre quattro potenti scosse: due nel tardo pomeriggio del giorno 11 (magnitudo 5,1 e 5,6) e altre due più forti quattro giorni dopo, appunto il 15 settembre, alle 5.15 e alle 11.21 del mattino, di magnitudo 5,8 e 6,1 Richter rispettivamente.
Ricordiamo che la magnitudo Richter fornisce una stima dell’energia liberata dal terremoto, mentre l’intensità superficiale viene stimata dai suoi effetti sui manufatti umani e sul paesaggio e viene misurata dalla scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg).
La magnitudo Richter del sisma del 6 maggio è stata di 6,4, mentre i suoi effetti nell’area più colpita sono stati vicini al X grado MCS.
Le due scale quindi misurano quantità diverse, non sono confrontabili e non vanno confuse: un terremoto può avere una magnitudo elevata ma un’intensità superficiale ridotta perché colpisce un’area semideserta e il suo ipocentro è situato in profondità. Viceversa, se l’ipocentro è superficiale e il sisma colpisce una zona densamente popolata e con costruzioni inadeguate, anche una magnitudo non alta può provocare ingenti danni e numerose vittime.
I paragoni più vicini nel tempo, ma lontani per energia liberata, sono il terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009 e quello di Sendai in Giappone dell’11 marzo scorso, quest’ultimo è stato uno dei maggiori degli ultimi cento anni. Le magnitudo all’ipocentro furono di 5,9 e 9.0 Richter rispettivamente.
Il record, al momento, spetta al terremoto di Valdivia (Cile) del 1960, con una magnitudo registrata di 9,5. Le vittime di questo gigantesco sisma furono meno di 2500, mentre quelle del terremoto di Haiti del 2010, di magnitudo ben inferiore (7,0) furono oltre 100.000, a riprova di quanto dicevamo sopra.
Poiché al crescere di un grado di magnitudo l’energia sviluppata viene moltiplicata per un fattore di circa 32, il terremoto del Friuli del 6 maggio è stato 5,6 volte più “potente” di quello de L’Aquila, mentre quello del Giappone lo è stato oltre 5600 volte quello del Friuli.
Allo stato attuale la scienza non è in grado di prevedere i terremoti con sufficiente precisione, né probabilmente potrà farlo nel prossimo futuro. Pur esistendo alcune tecniche promettenti, come la variazione dell’emissione di gas radon dal suolo nei giorni e nelle ore precedenti un sisma, queste non funzionano sempre e quindi non sono ancora affidabili.
Oggi è possibile solamente fare delle stime statistiche, indicando delle zone (troppo vaste per una reale previsione) in cui è più probabile aspettarsi un terremoto di determinata intensità, senza però poter specificare una data, anche approssimativa.
L’unica difesa è quindi quella della prevenzione, educando la popolazione al rischio, costruendo edifici antisismici ed evitando accuratamente gli insediamenti in zone a rischio idrogeologico o comunque pericolose, dove i geologi abbiano identificato la presenza di faglie attive o di terreni incoerenti.
Ricordare il terremoto del 6 maggio 1976 e le sue vittime è quindi ricordare che viviamo in una zona sismica.
E’ sapere che, come in passato, anche anche in futuro ci saranno altri terremoti.
E’ evitare che, specie nelle giovani generazioni, questa consapevolezza, già lontana, impallidisca per poi svanire.
L’occasione che questo anniversario ci offre è proprio quella di essere uno sprone a non abbassare la guardia, a studiare e a curare il territorio e a seguire regole di costruzione e urbanistiche ben chiare, sapendo che, in questo caso, siamo noi a doverci adeguare alla natura.
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