La
vicenda delle dimissioni del sindaco Di Bernardo, revocate allo scadere del
termine, non costituisce altro che un episodio tale da rendere visibile anche
all’esterno quanto è del tutto evidente a chi conosce e vive l’amministrazione
Di Bernardo. Un’amministrazione le cui
scelte sono state condivise e sostenute sino all’ultimo da tutta la sua
maggioranza, che come un sol uomo ha approvato ogni delibera, per ben quattro
anni. Dal 2014 ad oggi in consiglio comunale dalla maggioranza non si è
espresso alcun voto contrario. Oggi
vice-sindaco e maggioranza prendono le distanze, concederanno “ la fiducia di
volta in volta”, tuttavia gli aspetti dell’operato di Di Bernardo, ora
ineludibilmente emersi, non sono nuovi e possono essere così sintetizzati:
1.
Il completo sovvertimento dei termini: l’incarico è funzionale alla persona e
non viceversa.
Le
tre occorrenze in cui le dimissioni sono state annunciate (nei primi due casi
senza giungere ad effettiva formalizzazione) lo dimostrano: criticato per aver
nominato al Pie la moglie di un assessore ed il proprio padre, minaccia per la
prima volta di andarsene.
Criticato
per l’annuncio della chiusura totale del centro, decisa senza alcun
coinvolgimento né interlocuzione con la cittadinanza (buona parte della quale
gli aveva verosimilmente accordato la propria preferenza in quanto il suo
schieramento si era sempre detto contrario alla chiusura stessa, mentre erano
gli altri a voler dichiaratamente regolamentare il traffico in centro storico),
aveva minacciato per la seconda volta di andarsene.
Votato
da soli 109 concittadini alle elezioni regionali (ove si era candidato con
Bolzonello, a coronamento dei recenti anni di vicinanza alla presidenza
Serracchiani, dopo altrettanti di vicinanza alla presidenza Tondo, tanto che
fino alla fine era incerto da che parte avrebbe trovato casa) si è dimesso il 2
maggio ed ha revocato le proprie dimissioni alla scadenza dei 20 giorni.
Per
tre volte dunque, da parte di Di Bernardo non un dubbio sulla validità e
correttezza delle scelte compiute, sulla modalità di attuazione, men che mai un
accenno di autocritica. Se all’encomio subentra la critica, il sindaco minaccia
di andarsene. Se la carica di sindaco non è trampolino di lancio per uno
scranno in regione, i concittadini sono colpevoli di avergli guastato la festa,
e lui si dimette. Un gesto di stizza, nessun senso di responsabilità per la
funzione pubblica, nessun rispetto per collaboratori più stretti che lo
sapranno a cose fatte, solo la minaccia, da più parti riferita, di “farla
pagare” ai venzonesi.
2.
La totale mancanza di senso delle istituzioni e la noncuranza per meccanismi e
procedure istituzionali.
Le
dimissioni per “delusione” sconcertano nel loro essere esplicita ammissione di
un narcisismo che annulla, se mai v’è stata,
la consapevolezza di essere un rappresentante, pro tempore, delle
istituzioni. La motivazione risulta tuttavia coerente al mancato rispetto per
le funzioni amministrative e per le procedure istituzionali dimostrato in
quattro anni di amministrazione che hanno visto sistematiche violazioni
procedurali (interrogazioni cui non si risponde nei termini o non si risponde
affatto; comunicazioni non consegnate ai consiglieri destinatari, specie se di
minoranza) ed il reiterato tentativo di impedire il controllo e la vigilanza da
parte della minoranza sull'attività amministrativa (eliminazione degli organi
di partecipazione come le commissioni; ostacoli frapposti all'accesso agli
atti; risposte mendaci fornite con disinvoltura a specifiche domande, anche in
consiglio comunale).
3.
L’esercizio della carica come forma di potere personale e non come servizio.
Di
Bernardo si è dimesso perché deluso da chi non gli ha accordato il proprio
voto. Il libero esercizio di un diritto democratico interpretato, se non è a suo
favore, come torto commesso a suo danno. Un concetto che si credeva ormai
eradicato nelle moderne democrazie, eppure ancora vivo, vegeto e vigente nella
prassi amministrativa del nostro piccolo comune. Ben lo sanno le Associazioni,
linfa vitale del tessuto sociale: contrapporsi al sindaco o anche solo
dissentire dalle scelte dell'amministrazione significa essere ostacolati,
addirittura ostracizzati. Il servo encomio è la triste scelta, che
compiangiamo, di chi ai propri associati vuole assicurare un tetto sulla testa,
quel cuviert che il sindaco ha promesso al complesso bandistico.
Da
ascrivere a tale atteggiamento, con l’aggravante del tornaconto personale,
l’incredibile vicenda dell’immobile di proprietà comunale in centro storico, di
cui il sindaco rimane locatario pur vivendo altrove, dichiarando di utilizzarlo
“per fare esercizi ginnici e per ospitare amici e parenti” in palese violazione
di quanto prescritto dal contratto di locazione, e mantenendo così la
titolarità di un contratto che gli consentirà, a fine mandato, di acquistare
l’immobile con prelazione.
Di
Bernardo ha ritirato, come prevedibile visti i precedenti, le sue dimissioni.
Noi continueremo quindi a portare avanti il nostro incarico di consiglieri di
minoranza, esercitando anche nei confronti della sua, sino a ieri, fedelissima
maggioranza, quell’azione di vigilanza che, nel clima di discredito alimentato
dal sindaco in primis, è difficile non mettere in rapporto con i vandalismi
subiti da alcuni di noi – vandalismi che hanno comportato già quattro denunce
contro ignoti – senza per questo lamentare quanto era noto già quando ci siamo
candidati: l’attività politica è per noi l’assunzione di un servizio nei
confronti della collettività che espone a critiche e costituisce un impegno
civico e non, secondo la visione alla rovescia di Di Bernardo, la
sottrazione di tempo alla vita privata e alla famiglia.
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